giovedì 10 febbraio 2011

Dopo Videocracy


Sul paesaggio audiovisivo italiano non si è visto uno studio politico capace di parlare al largo pubblico (un film documentario sarebbe lo strumento più efficace, specialmente se supportato da approfondimenti ipermediali), per mostrare come il processo di controllo dell’immaginario degli italiani si sia sviluppato nel corso di un ventennio attraverso l’approvazione di un corpus legislativo coerente, la creazione e riformulazione di istituzioni, la messa in opera di piattaforme tecnologiche.

L’interesse di questo studio sarebbe per molti versi simile a quello delle analisi condotte da Naomi Klein sul colpo di stato in Cile e sulla dittatura argentina. Avrebbe rilevanza internazionale, perché nell’approfondire la storia recente di uno dei cinque grandi Paesi dell’Unione Europea coglierebbe dinamiche che trascendono i confini italiani, ma ancora di più perché l'affermazione apparentemente dolce del regime dei media in Italia costituisce il primo esempio a livello mondiale di fascismo postmoderno, frutto di oculato e sistematico utilizzo dell’innovazione tecnologica, della finanza, delle tecniche di persuasione congiunte con lo storytelling.

Il fenomeno italiano è spesso percepito come un percorso autoctono e autarchico, irripetibile altrove perché basato in parte sull’arretratezza e in parte sul caos che da sempre connotano l’Italia nella percezione dei suoi osservatori esteri. Un errore che costò caro a Winston Churchill novant’anni fa quando, all’affermarsi del primo fascismo mondiale, non seppe coglierne immediatamente il potenziale espansivo. Poco dopo, la farsa italiana divenne una tragedia tedesca e mondiale.

Il film “Videocracy” è un eccellente studio socio-psicologico del berlusconismo. Il profilo di tre figure emblematiche, Silvio Berlusconi, Lele Mora e Fabrizio Corona, sulle quali il film è costruito, non permette però di cogliere le grandi linee concrete della costruzione del regime videocratico nella penisola, né la connessione fra le mutazioni culturali-antropologiche (che Pasolini aveva intuito vent’anni prima) e quelle dell’apparato normativo-legislativo degli anni Novanta e Duemila, né le coerenze fra il nuovo corpus giuridico italiano dei media e il fenomeno politico-finanziario mondiale della deregulation. 

Per queste ragioni lo studio condotto da “Videocracy” – benché crudo e tagliente – può essere catalogato come intrattenimento. Al pubblico internazionale ancora manca un contenuto adeguato a cogliere l’universalità dell’esperienza italiana di questo ventennio, utile per elaborare strumenti critici efficaci e costituire un sistema immunitario sufficientemente articolato.

1 commento:

  1. viens me voir si tu passes à Nice,
    j'aide au développement de projets à Museaav, place Garibaldi...
    Denis Chollet

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