sabato 29 gennaio 2011

Un soggetto del 2009: documentario sui documentari(sti) italiani

Progetto in sospeso da un anno e mezzo. Ricevette a suo tempo intenti co-produttivi da Francia e Regno Unito. 
Impossibile realizzarlo senza un soldo raccolto in Italia.
La condizione del documentario nel servizio pubblico tv italiano è rimasta invariata. Alla RAI dicono che la gente non vuole i documentari perché detesta la Settimana Incom di 50 anni fa. Ma a quale pubblico fingono di pensare?
Lo shock audiovisivo imposto agli Italiani dura, e si aggrava, da vent'anni. Nessun dubbio che il soggetto sia ancora attuale; lo è sempre di più.


MESSA IN ABISSO
doc sul doc in Italia

pre-progetto di Claudio Papalia e Tiziana Ripani,
da sviluppare con altri Autori
per la realizzazione di un film di 52 minuti

© Fert Rights 2009-2011

SINOSSI


Il sistema audiovisivo italiano è sovente oggetto di reportage nelle televisioni di tutto il mondo. Temi preferiti: le posizioni dominanti, gli intrecci politico-editoriali, le grandi querelle mediatiche, i retroscena piccanti. Queste le “vette” della tv italiana nella percezione internazionale. Il nostro metadocumentario non indaga le cime ma gli abissi, un po’ come un’inchiesta sull’India organizzata a partire dagli Intoccabili, da parte di Intoccabili.

Nella televisione italiana, la casta sfavorita è quella del documentario; non è vietato parlarne, ma è di buon gusto astenersi. Esattamente il contrario di quanto faremo, portando il documentario italiano al largo pubblico internazionale con un film di inchiesta il cui interesse spazia fra estetico e politico, fra cittadinanza e libertà d’impresa.

Una rapida panoramica d’insieme sul paesaggio audiovisivo italiano, con sorvolo della programmazione di prime time nelle reti generaliste, introduce le testimonianze che via via compongono il quadro di un genere, di un mercato, di una professione, capaci di illustrare al pubblico europeo un aspetto poco conosciuto ma proprio per questo interessante, rivelatore della grande posta in gioco connessa al sistema audiovisivo in Italia.



TRATTAMENTO


1. PERCEZIONE

Rapida panoramica d’insieme sul paesaggio audiovisivo italiano con sorvolo della programmazione di prime time nelle reti generaliste. Gli spezzoni sono commentati sommariamente da alcune voci maschili e femminili. I documentaristi.

Chi realizza documentari in Italia? Chi li vede? Che documentari sono?

Documentari poetici, descrittivi, di osservazione, partecipativi, riflessivi, rappresentativi…

Documentari di ricostruzione, contemporanea o storica, documentazione di eventi, documentari d’inchiesta, intervista e testimonianza, di archivio, film-saggio e fattuali sperimentali…

Documentari didattici, informativi, giornalistici, di creazione, di montaggio…

Quasi tutte categorie obsolete, speci in estinzione, o mutanti, nell’avanguardistico, ballardiano, post-sovietico e neofeudale Bel Paese della tivù.

Nella televisione italiana i generi di documentario sono due: “programmi contenitore” e “documentari puri”. Ai primi, che frantumano l’unità artistica di documentari preesistenti e ne utilizzano spezzoni come cortigiani intorno ad un conduttore-re, sono dedicate circa 1.200 ore di trasmissione del servizio pubblico generalista; ai documentari in senso stretto, quelli puri ove l’unità creativa è integra, le ore si aggirano sul centinaio, tutte collocate nelle pieghe più nascoste del palinsesto.

Uno sguardo alla Francia, giusto per cogliere un dato elementare di raffronto: oltre 4.500 ore, di cui oltre 300 in prime time; non a caso la sua industria audiovisiva è la più sviluppata in Europa. Uno sguardo alla gestione dei diritti, in acquisto, in vendita, in uso equo. Uno sguardo al documentario satirico, il mockumentary (documenteur); uno al documentario contraffatto, l’infotainment.

Perché il documentario fa male agli Italiani? Cos’è davvero il documentario?


2. AZIONE

I documentaristi si presentano, sono produttori, registi, autori. Narrano i loro casi, accennano ai loro progetti, chiamano in causa le loro controparti.

Le interviste e i confronti si organizzano in modo da poter seguire nella coralità il viaggio di un eroe giunto in questi anni alla ‘prova suprema’: il rischio concreto dell’annientamento.

Sguardi e pensieri; ma anche imprese che pagano tasse e salari, di fronte – o meglio – sotto un sistema televisivo nello stesso tempo illegale e popolare. Imprese che, private del mercato nazionale, nonostante lo handicap competitivo, sono capaci di rapportarsi con le grandi tv estere.

Accuse, difese.


3. AFFEZIONE

Sequenze di documentari e primi piani di documentaristi. Primi piani di dirigenti e politici. Primi piani di spettatrici e spettatori.

Come sono narrate la Storia, la Scienza, la Società, la Natura, la Cultura. Da chi? Come potrebbero esserlo? E per chi?

Per Jean Louis Comolli “il documentario è quel cinema che si confronta frontalmente con le realtà che sono le nostre, private e pubbliche, prendendosi il rischio di un impegno nel mondo.” Il documentarista non ha l’obbligo della neutralità o dell’imparzialità, ma quello dell’onestà intellettuale. Nell’assemblare finzioni di realtà opera un procedimento nel quale la componente etica sovrasta l’emozionalità e la sensazione, stimola il ragionamento. Per Thierry Garrel “il documentario non è una macchina per vedere, è una macchina per pensare”.

Nelle sue linee guida, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni indica il documentario come uno dei fattori che qualificano l’offerta del servizio pubblico. Resterà lettera morta? O morirà prima la tv generalista, soppiantata dai nuovi media?

Definizione di "produzione indipendente" (Commissione Europea)

Una società di produzione indipendente è una società di produzione audiovisiva sulla quale NON sia esercitato un controllo maggioritario da parte di una emittente televisiva, né in termini di azionariato né in termini commerciali.
Esiste controllo maggioritario quando più del 25% delle quote del capitale sociale di un’impresa di produzione sia detenuto da un’unica emittente televisiva (50% qualora siano coinvolte più emittenti televisive), oppure quando la società di produzione abbia realizzato, nell'arco degli ultimi tre anni, più del 90% del volume d'affari con una singola emittente televisiva.

venerdì 28 gennaio 2011

Intenzioni per il blog, e per domani


Subito dopo un ventennio di shock terroristico, l’Italia ha subito un ventennio di shock mediatico. La metodologia della tabula rasa descritta da Naomi Klein in The Shock Doctrine si è nutrita in questo Paese di  esplosivi e piombo prima, poi di deregulation e tv.

Fra le misure per superare questo shock, è urgente un nuovo quadro normativo capace di porre la produzione indipendente di film e contenuti digitali al centro di un servizio pubblico tv di qualità allineato con l’Europa.

Considero questo scopo patriottico, e di cittadinanza.

La nuova portata della dimensione informativa nelle reti digitali richiede, legittima, rende sostenibile una politica energica di apertura, decentramento e incoraggiamento verso la produzione indipendente, affinché il suo ruolo fra i protagonisti della società della conoscenza sia pienamente riconosciuto.

Anche una volta divenuta spina dorsale dei contenuti del servizio pubblico televisivo, la produzione indipendente deve essere capace di “stare sul mercato” perché, quando la produzione di contenuti è prevalentemente basata sulla committenza e sul mecenatismo, deterioramento e distorsione della pubblica affettività sono un rischio costante e concreto.

I diritti della produzione indipendente costruiscono una forza economica importante nella società della conoscenza, e accrescono la civiltà nel suo insieme.


Come cittadino intendo resistere e fornire strumenti di resistenza ai miei concittadini contro lo shock mediatico cui gli Italiani sono sottoposti. Considero necessario agire per ricondurre all’eguaglianza e al rispetto delle regole le oligarchie che controllano il sistema dei media in Italia, un sistema largamente elusivo e spesso illegale, sia nella sua componente privata sia in quella pubblica.

Intendo agire pubblicamente nel rispetto delle leggi, e se necessario adottare comportamenti di disobbedienza civile (dei quali assumerei apertamente e personalmente la responsabilità), per :

- con fermezza denunciare, ostacolare e contribuire a rovesciare ogni posizione dominante sul mercato dei media e ogni tentativo di controllo della pubblica opinione e/o di procacciamento di indebiti guadagni operato con la formazione di cartelli editoriali e tecnologici di fatto;

- promuovere ed esercitare un’attenzione rispettosa, ma sospettosa, costante e rigorosa, verso l’attività degli istituti nazionali preposti alla garanzia sulle comunicazioni e all’indirizzo e vigilanza sui servizi pubblici di radio e televisione - in particolare m'impegno a contrastare l'elusione in Italia delle norme europee a favore della produzione indipendente e per la diversità culturale;

- promuovere nel “Paese dei Comuni” una libera fioritura di creatività culturale capace di scambiare sapere con tutto il mondo.


Come consulente editoriale, pur consapevole del grande ruolo del mecenatismo verso la creazione artistica, intendo agire al fianco di chi produce e distribuisce contenuti destinati al mercato; in particolare intendo pormi al servizio di chi nel montaggio produttivo di un progetto ricerca partecipazioni finanziarie garantite da quote di diritti di sfruttamento.

Intendo favorire la pervasività di nuove modalità di gestione dei diritti finalizzate a diffondere la proprietà intellettuale attraverso la pratica di licenze eque e cristalline e la tracciabilità digitale delle catene di diritti.


Come artista, dopo un ventennio di impegno nella FERT, intendo ritornare alla regia entro il 2012. Il cinema a basso budget, il teatro televisivo e il documentario, ovvero i tre generi sinora più ostracizzati in Italia, sono già ora l’oggetto centrale del mio interesse.